"Ritratti nella fede" è una sezione dedicata a mettere in luce le vite e l'eredità di individui che si battono per il dialogo interreligioso, la libertà religiosa e la pace globale.
Sul bordo meridionale di Tirana, la capitale albanese, dove i blocchi di cemento della città lasciano il posto a colline e uliveti sparsi, c'è un luogo che sembra stranamente sospeso nel tempo. Un basso edificio imbiancato con colonnati ad arco e una modesta cupola verde ospita il sede mondiale dell'Ordine Bektashi—una tradizione sufi all'interno dell'Islam nota per la sua apertura mentale e il suo spirito mistico. Qui, tra il profumo fluttuante dell'incenso e il mormorio delle preghiere, un uomo si dedica silenziosamente al compito di ricucire i fili invisibili che legano l'umanità. È Baba Mondi, al secolo Edmond Brahimaj, e negli ultimi dieci anni ha ricoperto il ruolo di ottavo Dedebaba, la guida spirituale globale della comunità Bektashi.
A sessantasei anni, Baba Mondi si comporta con la calma di chi ha fatto pace non solo con il mondo, ma anche con le sue inevitabili contraddizioni. La sua barba bianca, folta ma ben curata, incornicia un volto segnato più dalla gentilezza che dalla severa autorità spesso associata alla leadership religiosa. Quando parla, lo fa con dolcezza, con calma, spesso intervallato da lunghi silenzi che sembrano più inviti ad ascoltare con più attenzione, a riflettere più profondamente.
Non è sempre stato un uomo di spirito. Nato nel 1959 a Valona, una città dove la luce del Mediterraneo sembra sbiadire anche i ricordi più duri, è cresciuto sotto la dittatura atea di Enver Hoxha. La religione, nell'Albania della sua giovinezza, non era semplicemente disapprovata: era addirittura messa al bando. Le croci venivano abbattute, le moschee chiuse, imam e preti mandati nei campi di lavoro. Edmond, come la maggior parte della sua generazione, trovò una strada obbligata nell'esercito. Si diplomò all'Accademia Militare Albanese, entrò nell'Esercito Popolare e per un certo periodo visse la vita rigida e priva di gioia di un ufficiale socialista.
Ma con il crollo del comunismo all'inizio degli anni Novanta, le antiche fedi, sepolte ma non spezzate, tornarono a vivere. L'Ordine Bektashi, che era sopravvissuto clandestinamente nelle campagne e nella diaspora, riemerse. Fu durante questa grande opera di dissepoltura che Edmond Brahimaj avvertì una chiamata diversa. Iniziò la via Bektashi nel 1990, fu iniziato come derviscio nel 1992 e gradualmente, quasi inevitabilmente, raggiunse una posizione di rilievo all'interno dell'ordine.
I Bektashi sono una rarità nel mondo islamico, e forse è proprio per questo che Baba Mondi ha trovato un pubblico sempre più vasto anche al di fuori di esso. La loro tradizione, nata nell'Anatolia del XIII secolo, abbraccia misticismo, metafora e poesia. Venerano sia il Profeta Muhammad che Ali, ma anche figure come Gesù e persino santi non musulmani. Per loro, la fede non riguarda la rigorosa osservanza della legge, ma la purificazione dell'anima. Vino, poesia e musica – tutti proibiti nelle interpretazioni più puritane dell'Islam – sono considerati porte verso il divino.

Sotto la guida di Baba Mondi, l'Ordine Bektashi ha abbracciato questa apertura mentale, offrendo un contrappunto vivente alla narrazione secondo cui l'Islam debba essere inevitabilmente austero o severo. Il suo quartier generale è diventato un tranquillo centro di dialogo interreligioso, dove imam, sacerdoti, rabbini e studiosi laici si incontrano, dialogano e, altrettanto spesso, condividono un bicchiere di raki fatto in casa.
Il nocciolo del suo messaggio è di una semplicità disarmante: le religioni sono molte, ma l'umanità è una sola. "Tutti adoriamo lo stesso Dio", ripete spesso, "anche se lo chiamiamo con nomi diversi".
Potrebbe sembrare banale se non fosse per l'urgenza che lo sottende. In un mondo sempre più caratterizzato dalla polarizzazione religiosa, la voce di Baba Mondi ci ricorda che la coesistenza non è un sogno utopico, ma una realtà vissuta, esemplificata dall'Albania stessa, con la sua lunga tradizione di comunità musulmane, ortodosse e cattoliche che convivono pacificamente.
Tuttavia, la coesistenza non è passività. Il mandato di Baba Mondi ha visto l'Ordine Bektashi impegnato più attivamente che mai nella diplomazia religiosa internazionale. Ha incontrato Papa Francesco a Roma, il Patriarca ecumenico a Istanbul e leader ebraici a Gerusalemme. I suoi viaggi sono meno legati alle formalità che alla costruzione di una rete informale e personale di fiducia tra le fedi del mondo – una sorta di fraternità invisibile di coloro che credono ancora nell'importanza del dialogo.
In patria, ha dovuto affrontare minacce più tangibili. Nella vicina Macedonia del Nord, dove i santuari Bektashi sono stati sequestrati e vandalizzati da gruppi di ispirazione wahabita, la distintiva apertura dell'Ordine lo ha reso un bersaglio. Eppure, anche di fronte all'estremismo, la risposta di Baba Mondi è stata tipicamente misurata: condanna la violenza non con indignazione, ma con dolore, inquadrandola come una tragica mancanza di comprensione piuttosto che come un atto di inimicizia cosmica.
Negli ultimi anni, Baba Mondi ha intrapreso un progetto che, se avesse successo, potrebbe consolidare la sua eredità ben oltre l'Albania. Con il sostegno del Primo Ministro Edi Rama, ha sostenuto l'idea di concedere alla sede centrale dei Bektashi lo status di sovranità, creando un "Vaticano musulmano" nel cuore di Tirana. L'idea è ambiziosa, quasi audace: un microstato di 0.11 chilometri quadrati dedicato non a una causa politica, ma alla preservazione e alla promozione di un Islam tollerante e mistico.
Agli scettici che vi vedono un'inutile complicazione, Baba Mondi offre una correzione delicata ma decisa: non si tratta di potere, ma di rifugio. "Dobbiamo creare uno spazio dove la fede possa respirare", dice, "lontano dalla politica, lontano dalla violenza, lontano dalla paura".
Il microstato fungerebbe da centro per l'educazione interreligiosa, la ricerca e il pellegrinaggio. Sarebbe, nelle sue parole, "una luce per coloro che cercano Dio attraverso l'amore, non la paura".
Se questa visione si realizzerà rimane incerto. La politica dei Balcani è notoriamente labirintica e l'idea di creare una nuova entità sovrana, anche spirituale, è irta di ostacoli logistici e diplomatici. Ma Baba Mondi sembra indifferente agli ostacoli. Per lui, il tentativo in sé è parte del lavoro: continuare a costruire, pietra dopo pietra, una casa sufficientemente spaziosa per tutte le fedi.
Quando si rivolge ai giovani – molti dei quali, in Albania come altrove, sono sempre più laici – il suo messaggio non è di rimprovero o recriminazione. Li esorta piuttosto a riscoprire una spiritualità che non si basa sulla paura o sull'obbedienza, ma sulla coltivazione della meraviglia, dell'umiltà e della gratitudine. "Il vero tekke", dice loro, "è il cuore".
Si tratta di un'idea piccola ma radicale: la fede non è un'istituzione, non è una dottrina, ma una qualità dell'anima, accessibile a chiunque, ovunque.
Nel tardo pomeriggio, mentre la chiamata alla preghiera echeggia dolcemente nel complesso, Baba Mondi lo si può spesso trovare seduto in silenzio nel cortile, ad accogliere i visitatori senza cerimonie. Non c'è seguito, né auto blindata, né aria di intoccabilità. Piuttosto, c'è una sorta di permeabilità in lui, come se fosse più un medium che un uomo, attraverso il quale antiche saggezze e antiche speranze cercano ancora, contro ogni previsione, di farsi sentire.
In un secolo segnato dal risveglio religioso e dalla guerra di religione, dagli spettacolari fallimenti sia dell'ateismo militante che della fede militante, la visione lenta e ostinata di Baba Mondi appare quasi rivoluzionaria. È una rivoluzione condotta senza slogan, senza spade, solo con il paziente lavoro del dialogo, dell'ospitalità e della preghiera.
Sa, naturalmente, che non vivrà abbastanza per vedere i frutti completi di ciò che sta piantando. Ma non è mai stato questo il punto. Nella tradizione Bektashi, ciò che conta non è il risultato, ma l'offerta: una vita trasformata in un ponte, una porta, una luce.
E così, ogni giorno, in un piccolo angolo di Tirana, mentre il mondo corre, strepita e si frantuma, Baba Mondi siede in silenzio, prendendosi cura del lavoro di pace come ci si prende cura di un giardino, senza aspettarsi che fiorisca domani, ma sapendo che un giorno, da qualche parte, fiorirà.