In una sala del Parlamento italiano, sotto soffitti affrescati e colonne di marmo, stava accadendo qualcosa di silenziosamente straordinario.
Non era una protesta. Non era un sermone. Era una conversazione, una conversazione che aveva impiegato decenni per arrivare in questa stanza, in questo Paese, con queste voci.
Titolato "Senza Intesa: Le Nuove Religioni alla Prova dell'Articolo 8 della Costituzione" , il simposio ha riunito un cast insolito: imam e pastori, sacerdoti taoisti e leader pentecostali, studiosi e legislatori. Non erano lì solo per parlare, ma per essere ascoltati.
Al centro c'era una semplice domanda: Cosa significa in Italia essere una religione senza riconoscimento formale?
E dietro questa domanda se ne nascondeva un'altra, più profonda: Chi ne ha diritto?
La lunga strada verso la visibilità
Per Pastore Emanuele Frediani , leader della Chiesa Apostolica Italiana, la risposta è stata plasmata dal tempo e dalle lotte.
La chiesa di Frediani, che ora conta oltre 70 congregazioni in tutta Italia e all'estero, ha cercato a lungo il riconoscimento legale. Ma anche dopo aver ottenuto un intesa — l'accordo formale tra gruppi religiosi e Stato — sentiva ancora il peso dell'esclusione gravare su coloro che non erano riusciti a varcare la soglia.
"Ho un dovere", ha detto, "verso chi mi siede accanto e verso gli altri spettatori. Dobbiamo aiutarli a trovare il loro posto".
Le sue parole sono state accolte con cenni di assenso da parte Pastora Roselen Boener Faccio , a capo della Chiesa Sabaoth, la cui congregazione si è espansa dai salotti alle vetrine dei negozi, luoghi in cui la preghiera riempiva l'aria, se non i libri di legge. "Abbiamo iniziato con tre bambini in pigiama una domenica mattina", ha detto, ricordando gli umili inizi della sua confessione in Italia. "Oggi siamo una comunità nazionale".
"All'epoca nessuno ci fermava", ha detto. "Ma man mano che cresciamo, abbiamo bisogno di visibilità".
Il peso dell'attesa
Per molti presenti, l'attesa non era solo una metafora, ma una realtà vissuta.
Fabrizio D'Agostino, in rappresentanza della Chiesa di Scientology in Italia, ha descritto come la sua comunità, composta da 105,000 persone, si sentisse spesso invisibile:
"Siamo presenti in tutto il mondo. Vogliamo essere riconosciuti come persone giuridiche."
Non chiedeva un trattamento speciale. Solo parità. "Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale e di un approccio basato sulla parità di diritti per tutti, sul rispetto della dignità umana, con una spinta verso una migliore conoscenza e comprensione di ciò che ci troviamo ad affrontare nella vita".
Dall'altra parte del tavolo sedeva Vincenzo Di Ieso, Presidente della Chiesa Taoista d'Italia, che ha offerto una prospettiva diversa:
"Non voglio il riconoscimento dello Stato. Ho bisogno che lo Stato esista?"
La sua voce squarciò la tensione come una campana nel silenzio. Non rifiutava il sistema, ne metteva in dubbio la necessità.
Ma anche Di Ieso ha riconosciuto che la fede, in pratica, non può vivere del tutto al di fuori delle mura della legge.
L'Islam: frammentato, ma presente
Nessun gruppo è stato sottoposto a tale esame più dei musulmani.
Yassine Lafram, Presidente dell’UCOII (Unione delle Comunità Islamiche Italiane), parla con la stanchezza di chi da anni bussa a porte chiuse:
"Siamo qui da decenni, ma non siamo considerati partner credibili. Il dialogo è possibile, ma richiede reciprocità."
Ha descritto moschee costruite forzatamente nei garage, imam che svolgono secondi lavori e bambini che crescono senza spazi adeguati in cui pregare o imparare le proprie tradizioni.
Un imam della Moschea della Pace di Rieti ha ribadito le sue preoccupazioni:
"L'Islam è una cosa sola in Italia. Perché restiamo divisi in federazioni e confederazioni?"
Il suo appello era chiaro: l'unità fa la forza. E la forza, insisteva, era ciò che avrebbe finalmente costretto Roma ad ascoltare.
Battaglia Sanna, mediatore culturale e cittadino musulmano, ha aggiunto:
"Non sono arrivato qui come evangelico o cattolico. Arrivo qui in rappresentanza dell'Italia."
Ha esortato i musulmani a smettere di considerarsi degli outsider e a cominciare ad abbracciare l'identità civica tanto quanto l'appartenenza spirituale.
Il diritto e i limiti del diritto
Professor Marco Ventura, esperto di diritto canonico dell'Università di Siena, ha tracciato una storia completa del riconoscimento religioso in Italia: sette fasi distinte nell'arco di secoli.
«Il sistema di regole per il fenomeno religioso deve continuare a evolversi secondo lo spirito della Carta Costituzionale e il dinamismo che ha caratterizzato questi decenni di esperienza repubblicana, in particolare i quarant'anni trascorsi dalle riforme del 1984-85. Le autorità civili e religiose, le comunità di fede, la società civile, devono continuare a far crescere quello spirito con quel dinamismo, assumendosi la responsabilità di trovare strumenti sempre più adeguati alle esigenze individuali e collettive, nella leale collaborazione tra autorità pubbliche e confessioni religiose.
Consigliere Laura Lega, ex Prefetto e ora Consigliere di Stato, ha riconosciuto senza mezzi termini il problema:
“La libertà religiosa deve trovare il suo equilibrio tra diritti e doveri.”
Ha descritto come il processo burocratico per ottenere il riconoscimento possa durare anni, a volte decenni, lasciando le comunità in un limbo, legalmente invisibili, ma profondamente presenti nella vita di tutti i giorni.
Professoressa Ludovica Decimo, dell'Università di Sassari, ha chiesto la riforma:
L'articolo 83 del Codice Civile è obsoleto. Dovrebbe parlare di "culto riconosciuto", non solo di "culto ammesso".
Le sue parole furono accolte con appunti scarabocchiati e mormorii di assenso, segno che la comunità legale era pronta al cambiamento.
Politica: promesse e possibilità
Onorevole Onorevole Paola Boscaini, il gruppo parlamentare Forza Italia (parlando a distanza), ha offerto una visione legislativa:
“Dobbiamo pensare a una nuova legge sulle religioni, che sostituisca quella del 1929 e rispecchi la realtà odierna.”
Le sue parole sono state riprese da , anche lui intervenuto tramite collegamento video:
“L'anno prossimo faremo qualche piccolo passo avanti… Sto già prenotando il mio posto per l'anno prossimo.”
Si è trattato di un raro momento di ottimismo politico in un Paese in cui il cambiamento spesso si muove come sedimenti in acqua ferma.
L'Onorevole Boscaini ha ribadito il suo sostegno: "Questo tipo di dialogo è essenziale. Dobbiamo modernizzare le nostre leggi, non solo aggiornarle".
Fede in azione
Tra le storie più toccanti ci sono quelle di Pastore Pietro Garonna, in rappresentanza dell'Unione Cristiana Pentecostale:
“In nome di Dio, facciamo pace con le istituzioni.”
Garonna ha descritto come la sua comunità abbia prestato aiuto durante la crisi dei rifugiati ucraini, senza accordi formali, senza finanziamenti, ma con profonda convinzione.
Rogeria Azevedo , avvocato e attivista interreligioso di origine brasiliana, ha introdotto la discussione da una prospettiva globale:
“La crescita delle religioni afro-brasiliane in Italia riflette una ricerca più ampia: di identità, spiritualità e senso di appartenenza.”
Ha notato che comunità come Candomblé e Umbanda attraevano non solo brasiliani, ma anche italiani in cerca di percorsi spirituali alternativi.
"La società italiana sta cambiando", ha detto. "Così come le sue convinzioni."
L'onere del moderatore
A guidare la conversazione della giornata è stato Professor Antonio Fuccillo, Ordinario di Diritto Ecclesiastico presso l'Università Vanvitelli e Direttore dell'Osservatorio sugli enti religiosi, i beni religiosi e gli enti non-profit dell'Università Luigi Vanvitelli.
Fucillo, un uomo abituato a muoversi sia nelle aule accademiche sia nei corridoi governativi, mantenne le discussioni serrate e rispettose.
Grazie a tutti. La strada è lunga, ma oggi abbiamo compiuto passi importanti.
Aveva trascorso anni a studiare il complicato rapporto tra stato e fede. Ora stava contribuendo a districarlo.
La visione di un vescovo
Una delle ultime voci apparteneva a don Luis Miguel Perea Castrillon, vescovo della Chiesa anglicana ortodossa :
"Insieme siamo più forti. L'unità non cancella le differenze, le esalta."
Le sue parole rimasero impresse mentre le persone cominciavano ad alzarsi dai loro posti. Alcuni si strinsero la mano. Altri si scambiarono i numeri di telefono. Alcuni indugiarono, parlando a bassa voce, forse rendendosi conto di non essere soli, dopotutto.
La ricerca del riconoscimento
Il simposio si è concluso non con dichiarazioni o manifesti, ma con qualcosa di più potente: comprensione reciproca In un Paese ancora alle prese con la sua identità secolare e l'evoluzione multiculturale, le voci udite in quella stanza dipingevano l'immagine di un futuro in cui la diversità religiosa non è semplicemente tollerata, ma abbracciata.
L'Italia potrebbe non avere ancora una tabella di marcia per integrare tutte le fedi nel suo quadro giuridico, ma le discussioni avviate in quell'aula definiranno senza dubbio il prossimo capitolo del suo percorso costituzionale.
E mentre l'eco finale delle osservazioni conclusive di Fuccillo svaniva nel soffitto a volta dell'aula, una verità rimaneva immutata: la ricerca del riconoscimento non riguarda solo lo status giuridico.
Si tratta di essere visti.